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NEWS 2010

NUOVI FARMACI E NUOVE TERAPIE PER EPATITE CRONICA B ED EPATITE CRONICA C (M. Piazza)

TERAPIA EPATITE CRONICA B

Obiettivo della terapia

La terapia dell’epatite cronica B deve porsi come obiettivo la soppressione della replica virale (HBV-DNA negativo con la PCR). I pazienti che a seguito della terapia presentano HBV-DNA negativo con la PCR, mostrano, infatti, normalità delle transaminasi, miglioramento della istologia epatica e soprattutto bassa evoluzione verso la cirrosi epatica scompensata e l’epatocarcinoma (1,2).

Quando trattare?

La valutazione sulla opportunità di una terapia antivirale deve poggiare su tre elementi principali:

  1. Viene raccomandato il trattamento per i pazienti (sia HBeAg positivi che HBeAg negativi) che presentano una viremia maggiore di 2.000 UI/mL (1). I precedenti orientamenti, invece, consideravano pazienti con viremia inferiore a 20.000 UI/mL come portatori inattivi del virus e quindi non abbisognevoli di terapie. Ad esempio un paziente HBsAg positivo con una viremia di 15.000 UI/mL che veniva considerato fino ad alcuni anni fa un portatore inattivo, oggi potrà e dovrà essere un candidato ad un trattamento antivirale. Noi abbiamo sempre sostenuto che il vero portatore inattivo è colui che presenta livelli non determinabili di HBV-DNA con le più sensibili metodiche di biologia molecolare (Real-Time PCR) (3) ! I pazienti con cirrosi epatica compensata, infine, andrebbero trattati con anche se viremia inferiore alle 2.000 UI/mL (1). Per i pazienti con cirrosi epatica scompensata il trattamento antivirale va instaurato urgentemente poiché il controllo della replica virale è associato ad un miglioramento clinico (1).

  1. Certamente i pazienti con livelli elevati di transaminasi (e di viremia) hanno una indicazione al trattamento antivirale. Tuttavia anche i pazienti affetti da epatite cronica B con transaminasi persistentemente normali ed alta viremia potrebbero essere trattati (1). In tali casi, dopo attenta valutazione clinica, andrebbe effettuata una biopsia epatica per valutare la reale entità del danno a livello epatico ed in particolare lo stadio della fibrosi.

  1. Una biopsia epatica andrebbe comunque proposta ai pazienti con epatite cronica B: la presenza di attività necroinfiammatoria o fibrosi moderata-severa rappresentano indicazioni forti al trattamento antivirale (1).



Come trattare?

Il medico ha di fronte a sé due strade:

A) Terapia con PEG-Interferone

B) Terapia con analoghi nucleosidici/nucleotidici

A) Terapia con PEG-Interferone

L’interferone pegilato grazie alla sua azione immunomodulante ed antivirale è potenzialmente in grado di indurre una risposta sostenuta anche dopo la sospensione del trattamento. Nei pazienti affetti da epatite cronica HBeAg positiva tale farmaco (PEG-IFNa2a), somministrato alla dose di 180 mg a settimana per 48 settimane, determina sieroconversione anti-HBe in circa il 30% dei casi, negativizzazione dell’HBV-DNA (HBV-DNA non determinabile mediante la PCR) nel 14% e normalizzazione delle transaminasi nel 40% dei casi (1,2). Nei pazienti affetti da epatite cronica HBeAg negativa il PEG-IFNα2a somministrato per 48 settimane determina negativizzazione dell’HBV-DNA nel 20% circa dei casi e normalizzazione delle transaminasi nel 60% circa dei casi (1,2). Nei soggetti che rispondono (riduzione dei livelli ALT di almeno il 50% e/o decremento di 1 log di HBV-DNA rispetto al basale) la terapia può esser prolungata fino a 2 anni (AIFA, 2007).

Dopo 6 mesi dalla fine del trattamento nel 4% dei pazienti trattati si verifica la sieroconversione anti-HBs (scomparsa di HBsAg e comparsa dell’anticorpo neutralizzante anti-HBs) che rappresenta il massimo risultato ottenibile con qualsiasi terapia farmacologica. E’ interessante notare che, nei pazienti HBeAg negativi trattati per un anno con PEG-IFN, la percentuale di pazienti che presenta scomparsa di HBsAg aumenta nel tempo raggiungendo l’8% dopo tre anni di follow-up (4).

Pazienti con bassa carica virale di partenza (< 2.000.000 UI/mL), elevati livelli di transaminasi (x3 volte i valori massimi della norma) (5) e infettati dai genotipi A e B di HBV (6) presentano maggiori probabilità di risposta alla terapia con PEG-IFN.

La terapia con PEG-Interferone ha il grosso vantaggio di essere una terapia di durata certa e definita e di non indurre mutazioni che conferiscono resistenza. Va detto tuttavia che tale farmaco è associato a considerevoli eventi avversi (sindrome simil-influenzale, alterazioni tiroidee, disturbi psichiatrici, leucopenia, piastrinopenia, etc.) (vedi pag. 105 del libro base) e che è associato ad aumento di transaminasi, transitorio (e spesso foriero di buona risposta virologica), ma che può essere talora causa di scompenso severo nei pazienti con una funzionalità epatica ridotta. In definitiva nella pratica clinica, soprattutto nei pazienti con epatite cronica B HBeAg positiva, ma anche in quelli con epatite cronica B HBeAg negativa, con una conservata funzione epatica viene preferita in prima istanza questa opzione.

B) Terapia con analoghi nucleosidici/nucleotidici

Tale tipo di approccio si pone come obiettivo la soppressione della replica virale sotto trattamento. La durata di tale terapia è, pertanto, salvo alcune situazioni particolari, indefinita. Gli analoghi presentano il grosso pregio di essere in genere ben tollerati e di essere somministrati per via orale.

Nei pazienti HBeAg positivi gli analoghi possono determinare la sieroconversione ad anti-HBe. In tali casi la terapia va proseguita per altri 6 o preferibilmente 12 mesi dopo l’ottenimento della sieroconversione ad anti-HBe (1). Nella maggioranza di tali casi la sieroconversione permane anche dopo la sospensione della terapia (1).

Tali farmaci, tuttavia, possono determinare la comparsa di mutanti del virus resistenti alla terapia (7). La comparsa di resistenza è un evento assai temuto dai medici poiché si associa ad una perdita dei benefici clinici della terapia (peggioramento del quadro clinico, maggiore progressione verso la cirrosi epatica scompensata e l’epatocarcinoma).

Fino a pochi anni fa erano disponibili solo due analoghi nucleosidici/nucleotidici: lamivudina (Zeffix) e adefovir (Hepsera). La lamivudina che è stato il primo analogo nucleosidico utilizzato per la terapia dell’epatite cronica B, è gravata da una elevatissima percentuale di comparsa di ceppi resistenti (14% a un anno e circa 70% a 5 anni). L’adefovir (Hepsera), analogo nucleotidico efficace nei casi di resistenza alla lamivudina, ha una potenza non ottimale in alcuni pazienti ed è associato con una percentuale di resistenza a 5 anni del 30% circa (2).

Recentemente sono divenuti disponibili nuovi farmaci per la terapia dell’epatite cronica B: entecavir (Baraclude), telbivudina (Sebivo) e tenofovir (Viread).

L’entecavir (Baraclude) è un analogo nucleosidico dotato di elevata potenza. Esso determina, nei pazienti mai trattati con analoghi, dopo 2 anni di terapia, soppressione virale nell’80% circa dei pazienti con epatite cronica HBeAg positiva e nel 94% circa dei pazienti con epatite cronica HBeAg negativa (8-11). La percentuale di comparsa di ceppi resistenti nei pazienti mai trattati con analoghi è molto bassa (circa 1% a 6 anni) (12) benché i dati sulle resistenze a lungo termine siano ancora modesti a causa del basso numero di pazienti che ha raggiunto i 6 anni di terapia. Il Baraclude viene somministrato al dosaggio di una compressa da 0,5 mg al giorno indipendentemente dal pasto nei pazienti mai trattati con analoghi. Nei pazienti già trattati con lamivudina viene raccomandato di assumere una compressa da 1 mg al giorno lontano dai pasti (più di due ore prima o più di due ore dopo un pasto). Nei pazienti già trattati con lamivudina ed a questa resistenti, l’entecavir ha una efficacia minore e una percentuale di resistenze superiore rispetto ai pazienti mai trattati. Un recente studio ha valutato l’efficacia di entecavir in 70 pazienti affetti da cirrosi epatica scompensata da virus B. Entecavir, somministrato alla dose di 0,5 mg/die, ha determinato, già dopo il primo anno di terapia, negativizzazione di HBV-DNA nel 92,3% e miglioramento di 2 punti dello score di Child in circa la metà dei soggetti. Inoltre il 66% dei pazienti trattati migliorava fino a giungere ad una classe A di Child (cioè cirrosi epatica compensata) (13).

La telbivudina (Sebivo) è anch’esso un analogo nucleosidico che presenta elevata potenza virale (soppressione virale dopo due anni di terapia nel 56% circa dei pazienti con epatite cronica HBeAg positiva e nel 82% dei pazienti con epatite cronica HBeAg negativa) (14). Tuttavia la comparsa di ceppi resistenti si osserva a un anno nel 5% nei pazienti HBeAg positivi e nel 2,2% nei pazienti HBeAg negativi. Nei pazienti affetti da epatite cronica B con carica virale bassa, la telbivudina presenta elevatissima efficacia e bassa comparsa di mutanti resistenti. Sebivo viene somministrato al dosaggio di una compressa da 600 mg al giorno.

Il tenofovir (Viread), analogo nucleotidico utilizzato con successo da vari anni nelle combinazioni di farmaci contro HIV, è stato provato anche nella terapia dell’epatite cronica B ed è disponibile in Italia anche per tale indicazione. Recenti risultati (15,16) mostrano che esso determina elevate percentuali di risposta (78% dei pazienti HBeAg positivi e 91% dei pazienti HBeAg negativi presenta HBV-DNA negativo a due anni di terapia) con percentuali di resistenza nulle anche se sono disponibili dati solo a tre anni (17). Il tenofovir, a differenza dell’entecavir, è efficace allo stesso modo nei pazienti che non hanno mai effettuato terapia con lamivudina ed in quelli che presentano ceppi resistenti a tale farmaco. Sulla base di tali studi, inoltre, nei pazienti attualmente in terapia con adefovir che mostrano risposta virologica non ottimale (cioè presentano HBV-DNA ancora positivo con la PCR), tale farmaco potrebbe essere sostituito con il tenofovir, assicurando in tal modo una maggiore soppressione virale (15,16). Viread viene somministrato al dosaggio di una compressa da 300 mg al giorno.

Anche gli ultimi nuovi farmaci antivirali su menzionati e divenuti recentemente disponibili per la terapia dell’epatite cronica B determinano, nei pazienti con epatite cronica HBeAg positiva, la perdita dell’antigene e nel 20-25% circa dei casi. In pochi casi inoltre (1-2%) si può avere anche la scomparsa dell’antigene di superficie e la comparsa degli anticorpi neutralizzanti anti-HBs (1).

Tali nuovi farmaci potrebbero in futuro anche essere impiegati per le nuove terapie dell’epatite cronica B in combinazioni che potrebbero ridurre ulteriormente il rischio di comparsa di mutazioni e permettere ai pazienti di beneficiare di lunghi periodi di soppressione virale e quindi di stabilità clinica della malattia.

Oggi per la terapia dell’epatite cronica B, nei pazienti per i quali vi sia indicazione all’impiego di analoghi, si preferisce iniziare con l’entecavir o il tenofovir (1).

Monitoraggio dei pazienti sotto terapia

  1. Terapia con PEG-IFN

Il paziente che effettua terapia con PEG-IFN va ovviamente monitorato attentamente con controlli clinico-laboratoristici frequenti per evidenziare la comparsa di eventuali eventi avversi (vedi prima).

In aggiunta le transaminasi vanno controllate ogni mese e l’HBV-DNA alla 12a, 24a e 48a settimana di trattamento, nonché dopo la fine della terapia. Lo scopo che la terapia si prefigge è ridurre HBV-DNA < 2000 UI/mL (risposta virologica) poiché tal situazione si associa ad un andamento favorevole della patologia epatica. L’esito più favorevole, tuttavia, è rappresentato da livelli di HBV-DNA costantemente non rilevabili con la Real-Time PCR. Tale situazione si associa ad elevate probabilità di perdita di HBsAg anche dopo diversi anni dalla sospensione della terapia.

Inoltre nel paziente HBeAg positivo viene consigliato di effettuare ogni 6 mesi anche il dosaggio dell’HBeAg, dell’anti-HBe per documentare una eventuale sieroconversione anti-HBe. Nel paziente HBeAg positivo, in caso di mancata risposta primaria (primary non-response) (cioè quando il livello di HBV-DNA si riduce meno di un logaritmo alla 12a settimana rispetto al livello basale), viene consigliato di sospendere il trattamento con PEG-IFN e di iniziare il trattamento con un analogo (1).

  1. Terapia con analoghi

Anche i pazienti sotto terapia con analoghi devono essere attentamente monitorizzati. In particolare va effettuata una valutazione dell’HBV-DNA (mediante Real-Time PCR):

Naturalmente il monitoraggio dei pazienti sotto analoghi deve includere una stretta sorveglianza degli eventi avversi. Ad esempio i pazienti sotto adefovir o tenofovir devono eseguire controlli ripetuti della funzionalità renale (creatinina, azotemia), dell’esame urine e dei fosfati poiché, sebbene di rado, tali farmaci possono causare danni renali (aumento della creatinina, proteinuria, glicosuria, ipofosforemia). I pazienti che assumono telbivudina dovranno includere tra i controlli anche il dosaggio della creatinfosfokinasi (indice di danno muscolare) poiché sono segnalati casi di miopatie associati a tale farmaco. Si sottolinea che allo stato attuale vi sono scarse esperienze circa gli effetti collaterali a lungo termine soprattutto per ciò che concerne le associazioni di più farmaci.


TERAPIA EPATITE CRONICA C

Terapia con PEG-IFN + RIBA: nuovi dati circa la prevedibilità di risposta al trattamento (risposta virologica rapida, precoce o lenta)

Diversi studi hanno evidenziato che, nei soggetti in terapia per epatite cronica C con interferone pegilato + ribavirina, l’efficacia del trattamento è largamente prevedibile sulla base del momento in cui il soggetto in terapia diviene HCV-RNA negativo (20-23). Infatti i pazienti affetti dal genotipo 1 di HCV che negativizzano HCV-RNA alla 4a settimana di terapia (risposta virologica rapida) hanno circa il 90% di probabilità di ottenere una risposta virologica sostenuta (assenza di HCV-RNA sei mesi dopo la sospensione della terapia, che nella maggior parte dei casi dura tutta la vita). In coloro che negativizzano HCV-RNA alla 12a settimana di terapia (risposta virologica precoce) la probabilità di risposta virologica sostenuta scende al 68%. Coloro infine che negativizzano solo alla 24a settimana di terapia (ma alla 12a settimana manifestano un calo di più di 2 logaritmi rispetto alla viremia basale), cosiddetta risposta lenta, hanno solo il 27% di probabilità di ottenere una risposta virologica sostenuta. I pazienti che non negativizzano neanche alla 24a settimana hanno probabilità quasi nulle di ottenere una risposta virologica sostenuta.

Conseguentemente alcuni autori hanno valutato l’efficacia di un regime di trattamento prolungato per i pazienti con risposta lenta alla terapia (negativizzazione alla 24a settimana). Tutti gli studi sull’argomento concordemente dimostrano in tali pazienti una superiorità del trattamento protratto per 72 settimane: le percentuali di risposta virologica sostenuta sono 38-44% nei pazienti trattati per 72 settimane rispetto al 16-33% di coloro che ricevevano il farmaco per il periodo canonico di 48 settimane (24-27).

Terapia dell’epatite cronica C con Interferoni pegilati + ribavirina in pazienti che hanno fallito precedenti terapie

In circa la metà dei pazienti affetti da Epatite Cronica C la terapia con interferone (pegilato o non) + Ribavirina fallisce. Questo evento pone il medico in grande difficoltà sia sul piano umano che clinico. È infatti molto penoso comunicare al paziente non solo il fallimento della terapia fatta (che comporta spesso enormi sacrifici) ma soprattutto che nulla più si può fare per la sua malattia. Lo studio EPIC3 (28) condotto su 1823 pazienti con epatite cronica C che avevano fallito precedenti terapie, ha dimostrato che il ritrattamento causa guarigione nel 38% dei pazienti nei quali il virus, scomparso durante la terapia, era ricomparso dopo la sospensione di questa (relapsers) e nel 14% dei pazienti che non avevano risposto alla terapia ( non responders *). *[ Si sottolinea che questo studio include soggetti già trattati con Interferone ( IFN ) + Ribavirina ( Riba ) e con IFN pegilato + Riba ed i risultati si riferiscono cumulativamente a tutti i pazienti. Se ad esempio si selezionano solo i pazienti non responders alla terapia IFN + Riba ( gruppo A ) ed i pazienti non responders alla terapia IFN pegilato + Riba ( gruppo B ) la percentuale di guarigione dopo il nuovo trattamento con IFN pegilato + Riba è del 18 % nel gruppo A e del 6- 7 % nel gruppo B, rispettivamente]. La recente disposizione secondo la quale nei pazienti con fallimento terapeutico è possibile ripetere la terapia ottenendo per alcuni la guarigione, dà a tali pazienti fiducia e speranza. Se è pur vero che esistono in sperimentazione nuove terapie ci chiediamo quando queste saranno realmente disponibili (vedi dopo).

Si riporta quanto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 107 del maggio 2008:

“la commissione tecnico scientifica ha espresso parere favorevole alla rimborsabilità per le nuove indicazioni terapeutiche di seguito indicate, alle medesime condizioni di prezzo, classificazione e regime di fornitura attualmente in vigore, dei medicinali con procedura centralizzata:

Pegintron - nuova indicazione terapeutica:

pazienti in cui un precedente trattamento di combinazione con interferone alfa ( pegilato o nonpegilato ) e ribavirina o la monoterapia con interferone alfa hanno fallito;

in associazione con peginterferone alfa- 2b, per il trattamento di pazienti adulti con epatite cronica C in cui un precedente trattamento di combinazione con interferone alfa (pegilato o nonpegilato) e ribavirina o la monoterapia con interferone alfa hanno fallito.

Recenti dati indicano che, in pazienti non responder al PEG-Interferone a2b + Ribavirina, un nuovo ciclo di terapia con PEG-Interferone a2a + ribavirina per 72 settimane riesce ad ottenere una percentuale di risposta virologica sostenuta significativamente maggiore rispetto alla stessa terapia somministrata per le canoniche 48 settimane (16% rispetto a 8%) (29,30).

Si riporta quanto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 204 del 3 settembre 2009:

Si comunica che la commissione Tecnico Scientifica nella seduta del 12/13 gennaio 2009, ha espresso parere favorevole alla rimborsabilità per la nuova indicazione terapeutica di seguito indicata senza modificare le attuali condizioni negoziali:

PEGASYS nuova indicazione terapeutica

Trattamento dei pazienti con epatite cronica C che abbiano fallito un precedente trattamento con inteferone alfa (pegilato o non pegilato) in monoterapia o in terapia di associazione con ribavirina”.


Nuove future terapie contro HCV

Nuove terapie con farmaci ad attività antivirale sono in sperimentazione. Essi agiscono in varie fasi della replicazione del virus: inibitori della proteasi, inibitori delle polimerasi, inibitori della traduzione, etc (31).

Recentemente sono divenuti disponibili dati preliminari sull’uso di due inibitori della proteasi: telaprevir e boceprevir in combinazione con PEG-interferone e ribavirina. Tali nuovi farmaci, assunti per via orale nei soggetti infetti, hanno la capacità di inibire il virus dell’epatite C determinando una caduta dei livelli del virus nel sangue. Tuttavia, se utilizzati da soli, determinano la rapida insorgenza di mutazioni che conferiscono resistenza al farmaco utilizzato (32, 33). Per tale motivo essi sono attualmente in sperimentazione in associazione a PEG-Interferone + Ribavirina. In particolare secondo i risultati finali di un recentissimo studio, la combinazione di Telaprevir + PEG-IFN + Ribavirina per 12 settimane seguito da altre 12 settimane di PEG-IFN + ribavirina determina una percentuale di risposta sostenuta (scomparsa dell’HCV-RNA 6 mesi dopo la sospensione della terapia) maggiore rispetto a quanto ottenuto con 48 settimane di combinazione di PEG-IFN + Ribavirina (68% rispetto al 46%) nei soggetti naive (mai trattati) infettati con il genotipo 1 di HCV. Tuttavia la combinazione dei tre farmaci ha anche aumentato la percentuale di eventi avversi; in particolare si sono verificati più frequentemente eruzione cutanea, anemia e tossicità gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea, etc.) (34,35).

Recenti dati indicano che tale triplice associazione (PEG-IFN + Ribavirina + Telaprevir) riesce ad ottenere elevate risposte virologiche anche nei soggetti precedentemente trattati con PEG-IFN e ribavirina e che non ottenevano una risposta virologica sostenuta (36). In particolare la triplice associazione determina percentuali di risposta sostenuta del 38-39% nei pazienti non responder a PEG-IFN + Ribavirina e nel 69-76% in quelli recedentemente relapser a tale terapia (37). Un recente studio condotto su 161 pazienti ha valutato l’efficacia del telaprevir alla dose di 750 mg ogni 8 ore o 1125 mg ogni 12 ore in combinazione con PEG-IFNa2a + ribavirina o con PEG-IFN a2b + ribavirina. I risultati hanno mostrato efficacia simile nei gruppi di pazienti che ricevevano il farmaco a intervalli diversi (SVR=83% se il telaprevir era somministrato ogni 8 ore e 82% se il telaprevir era somministrato ogni 12 ore) e nei gruppi che ricevevano PEG-IFN a2a o PEG-IFN a2b (SVR=84% con PEG-IFN a2a e 82% con PEG-IFN a2b). Sottolineiamo che le percentuali di SVR in tale studio sono risultate più elevate rispetto agli studi precedenti probabilmente grazie alla migliore capacità di gestione del rash con conseguente minore percentuale di sospensione della terapia (38,39).

Dati recenti circa l’utilizzo delle nuove terapie di combinazione PEG-IFN + Ribavirina + Boceprevir nei pazienti HCV-RNA positivi - genotipo 1, mai trattati con interferone mostrano anche in questo caso una maggiore percentuale di risposta virologica sostenuta rispetto alla terapia tradizionale PEG-IFN + Ribavirina (40). I risultati hanno mostrato che la triplice terapia condotta per complessive 48 settimane (nelle prime 4 settimane i pazienti ricevevano solo PEG-IFN + ribavirina) ha determinato una percentuale di risposta virologica sostenuta del 75%. La stessa terapia condotta per 48 settimane, ma, senza il periodo di induzione con PEG-IFN e ribavirina nelle prime 4 settimane, determinava una percentuale di risposta virologica sostenuta del 67%. Tale triplice terapia si è dimostrata significativamente più efficace della terapia con PEG-IFN + RIBA per 48 settimane che è in grado di determinare una risposta virologica sostenuta solo nel 38% dei pazienti (41). Anche nei pazienti che non rispondevano al PEG-IFN + ribavirina dopo le prime 4 settimane la triplice terapia condotta per 24 o 44 settimane determinava una percentuale di risposta virologica sostenuta rispettivamente nel 25% e nel 55% dei casi (42).

Dati i brillanti risultati delle nuove terapie di combinazione si pensa già di utilizzare contemporaneamente molecole ad azione diversa (ad esempio inibitori della polimerasi insieme ad inibitori della proteasi) per costruire combinazioni di nuovi farmaci che non prevedono l’utilizzo dell’interferone e quindi utilizzabili per quei pazienti che non tollerano l’interferone o per i quali esso è controindicato (ad esempio cirrosi epatica scompensata, etc.). Uno studio preliminare ha esplorato la possibilità di utilizzare una combinazione di farmaci che non prevedeva l’uso dell’interferone. Tale combinazione (costituita da un inibitore della proteasi + un inibitore della polimerasi virale), nei vari bracci di trattamento che utilizzavano i 2 farmaci a dosaggi diversi, ha causato una drastica riduzione di HCV-RNA (riduzione mediana di 100.000 volte) nei 14 giorni in cui veniva somministrata (43).

Considerazioni conclusive

Epatite cronica e cirrosi da virus B

L’impiego di nuovi farmaci analoghi nucleosidici/nucleotidici ha segnato un notevolissimo progresso per la terapia dell’epatite cronica B e cirrosi da virus B. I primi analoghi impiegati causavano in elevata percentuale di pazienti la comparsa di ceppi resistenti (la lamivudina dopo 5 anni di terapia causa la comparsa di ceppi resistenti nel 70% dei casi). Oggi, con l’impiego di nuovi farmaci analoghi la comparsa di ceppi resistenti si è consistentemente ridotta: 1% dopo 6 anni di terapia con entecavir e resistenza quasi nulla dopo 3 anni di terapia con tenofovir.

Abbiamo assistito ad eventi meravigliosi ed inattesi: pazienti con cirrosi da virus B scompensata per cui si prevedevano pochi mesi di vita sono migliorati consistentemente ed hanno una buona qualità di vita (pazienti in lista di attesa per trapianto epatico sono migliorati a tal punto da uscire dalla lista). Questi miglioramenti, che all’inizio della terapia potevano apparire temporanei e transitori poiché sarebbero terminati con la comparsa di ceppi resistenti, ormai vanno avanti da molti anni a causa dell’impiego dei nuovi analoghi. Seguo un certo numero di pazienti affetti da cirrosi epatica da HBV, un tempo scompensata: una elevata percentuale di essi sarebbe certamente da tempo deceduta; al contrario essi oggi con le nuove terapie hanno una buona qualità di vita.

Epatite cronica e cirrosi da virus C

Per l’epatite C e la cirrosi da virus C non si sono verificati progressi equivalenti a quelli su descritti per l’epatite B. Infatti i vantaggi della terapia di combinazione interferone pegilato + ribavirina sono ormai stati evidenziati circa 9 anni fa e da allora ad oggi non si è verificato alcun progresso essenziale per la terapia di questa malattia, pur avendo alcuni studi dimostrato miglioramento dei risultati modificando gli schemi terapeutici standard (vedi sopra). Quando visitiamo pazienti che non hanno risposto alla terapia e che ai controlli periodici ci chiedono se dopo tanti anni siano stati scoperti nuovi farmaci efficaci ci sentiamo seriamente imbarazzati nel doverli deludere. I risultati delle recentissime esperienze su riportate impiegando le nuove terapie di combinazione danno consistenti speranze. Per quanto concerne i pazienti con cirrosi da virus C scompensata, al contrario di quanto accade per la cirrosi da virus B scompensata, non esistono validi farmaci e la somministrazione di interferone e ribavirina è sconsigliabile.

Bibliografia essenziale